Vi faccio una domanda: quanto conoscete la vostra moto? Immagino che molti di voi diranno “molto! Ne conosco ogni aspetto!”. Ora vi spiego cosa intendo.
Qualche tempo fa un papà mi ha portato il figlio perché gli facessi un “discorsetto”. Io, vi confesso, non ero molto per la quale: da motociclista a motociclista non penso di avere il diritto di insegnare qualcosa a qualcuno. Il ragazzo, tra l’altro, faceva delle cose che tecnicamente io non so fare: impennate, frenate con il sollevamento del posteriore, cose di questo tipo. Il padre, tuttavia, era abbastanza preoccupato e non capiva quei “gesti d’imprudenza”.
Eravamo in un parcheggio privato con ghiaia e asfalto. Così chiesi al ragazzo di scendere dalla moto e spingerla lungo tutto il vialetto fino alla cabina del garagista nel quale notai un compressore. Per tutta la durata della spinta il ragazzo spinse la sua moto senza alcun problema. Aveva equilibrio, sicurezza, mi faceva addirittura vedere eseguiva qualche piccola acrobazia tra una spinta e l’altra. Era bravo, mi dovete credere. Mi disse che non era mai caduto in vita sua e che non sarebbe successo certamente per una sua mancanza perché quella moto lui la conosceva a menadito.
Quando arrivammo alla fine del vialetto gli dissi di chiudere gli occhi e tapparsi le orecchie forte. Lui pensò che si trattasse di qualche prova per alterare gli stimoli sensori, in realtà sgonfiai le gomme un po’. Quando riaprì gli occhi gli dissi che lo avrei sfidato a fare nuovamente andata e ritorno nello stesso tempo e magari con le stesse piccole acrobazie.
Fu una via crucis. Chiaramente la moto gli apparve pesante, non collaborativa, dura, difficile da gestire e già dopo metà percorso era stanco e sbacchettava a destra e sinistra ma, cosa peggiore, non aveva capito cosa avessi fatto. Pensò che la colpa fosse stata della sua stanchezza, disse che si sentiva provato e non riusciva a fare il tragitto di seguito due volte di seguito.
Provò a fare qualche accenno di acrobazia ma rischiò d’impuntarsi e lasciò stare immediatamente. Alla fine del percorso il suo smartwatch segnava 115 battiti e lui era incredulo. A quel punto gli chiesi se avesse mai sentito la sua moto in quella maniera e lui mi disse di no. Gli svelai il trucco e gli dissi che avevo sgonfiato appena le gomme e la cosa aveva reso la sua moto “sconosciuta” ai suoi muscoli.
Funzionò: il ragazzo mi chiese come mai non se ne era accorto e gli spiegai che una moto la si conosce solo quando la si vive in ogni condizione. Incluso quando prova a disarcionarti e magari ci riesce e in quelle condizioni si scopre qualcosa di più: che le moto sono pesanti, che sono difficili da frenare quando si perde il controllo e, in scivolata, non è scontato riuscire a sganciarsi.
In quelle condizioni non riusciva a governare più nulla, la sentiva così aliena che rimase colpito. Intendiamoci, non cambiò molto salvo per un dettaglio…
…mi è arrivato un messaggio oggi.
Oggi pioveva, volevo intraversare la bestiola ma ho capito che se avessi perso il controllo non avrei più potuto tenerla. Forse la piega è stata più noiosa ma ora sono qui a scriverti.
Ecco: il punto è che molti di noi credono di conoscere la propria moto perché facciamo allunghi, salti, off-roads ma pochi di noi conoscono cosa può diventare una moto quando perdiamo il controllo e ci tira via con tutto il peso.
Ma perché a scuola guida…
A scuola guida dovrebbero abituarci a tirare su la moto una volta coricata a terra. Pensateci: sarebbe davvero utile. Innanzitutto s’imparerebbe a fare qualcosa senza rischiare di farsi male ma soprattutto s’imparerebbe qualcosa di più sul peso reale della nostra moto. Ora lo so che molti di voi penseranno che ci sono molti video su YouTube e invece io vi metto questo!
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