Inizia così, con una telefonata dalla quale apprendo che devo partire domani mattina presto. La casa è immersa nella notte, lentamente preparo zaino, attrezzatura e bagagli. Starò via solo qualche ora e il meteo dovrebbe assistermi.



Il computer, gli adattatori e lo switch di rete nonostante le rassicurazioni che, seppur lontano, potrò usare i dispositivi in loco.
Potresti partire questa notte stessa…
Eccola la pessima idea che si inizia a far strada nei miei pensieri. In campagna, di notte, le strade sono affollate: partirò domani dopo un buon caffè.
La “missione” è facile: per prima cosa bisogna ripristinare la connessione di alcune centraline; ci vorrà tempo ma è più che fattibile. In seconda battuta si potrà attivare il nuovo sistema di rete e quello è tutta una scommessa ma ora a nanna…
Ore 07:30 AM
Mi trascino giù dal letto e controllo il meteo. La situazione non è delle più felici ma potrebbe andare peggio. Trasporto parecchia attrezzatura, non deve prendere acqua e non ho posto nelle borse laterali; è ora di un caffè e poi doccia. Quando scendo in strada il cielo è color piombo: grigio, freddo, scuro, sembra buio. Sono i tuoni a farmi stringere gli occhi, i tuoni e l’aria che sa di bagnato. I motociclisti conoscono la sensazione, la certezza che sarai in sella quando pioverà. Faccio una telefonata.
«Qui butta male, e lì?»
«Non si capisce ma per ora è abbastanza tranquillo. Sbrigati prima che il tempo cambi idea.»

Un’ora dopo e qualche goccia di pioggia arrivo a destinazione ma c’è un vento del diavolo e sono stanco di trattenere il GS mentre scarroccia per via degli schiaffi di vento che investono la carena.
Lavoriamo al freddo, lavoriamo al centro di una campagna con una casa colonica abbandonata a sé stessa e chiusa. È lì, mentre fissiamo un pozzo di un’ottantina di metri che un tuono risveglia in me quella sensazione di disagio. Sembra nato dal nulla spezzando la voce degli uccelli e lasciando posto solo ad un grande freddo.
Ore 16:00
Bisogna togliere le tende, siamo sporchi, siamo tristi per il tempo e soprattutto non potremo fare il viaggio assieme. Ci saremmo confortati a vicenda perché sappiamo che il temporale è alle porte e lo prenderemo sicuramente. Riponiamo l’attrezzatura con la dovuta attenzione, tutto deve essere ben chiuso e ben disposto per non alterare l’equilibrio. Non parliamo, vogliamo solo tornare a casa dopo questa giornata infernale e sappiamo che non è facile, perché queste giornate sono le peggiori ma sono anche le più lunghe. Lui si accende una sigaretta, io non fumo ma resto fermo appoggiato alla moto a riprender fiato. Un suono viene dalla sua giacca ma non è la suoneria, ci mettiamo un secondo o due a realizzare e poi capiamo…è la piccola radio a onde corte.
«Max, ci sei?»
«In ascolto, passo.»
«Abbiamo un problema: uno di voi deve salire sul monte. Intendo dire proprio sull’antenna maestra perché non ci risulta la connessione del cavo. Controllare e nel caso riattaccare. Passo.»
«Qui butta male. C’è un tempo da Dio arrabbiato e lì su…beh lì su butta anche peggio. Passo.»
«Nessuna alternativa. Scegliete voi chi dei due ma fatelo subito. Sappiamo le condizioni meteo ma questo è importante.»
Ci guardiamo perché entrambi sappiamo che questa è la notizia che non avremmo voluto (e dovuto) ricevere. Max chiude la comunicazione.
«Copiato, QRT»
Getta la sigaretta a terra e fa per salire in moto ma è evidente che i conti sono stati fatti male.
— Dove vai? Tu hai moglie e figli.
— Tu sei più giovane e io più esperto.
— Tu sei meno forte e io qui vicino ho una casa, se butta male posso andarci. Tu saresti esposto. Torna a casa, è la scelta più logica: rimanere qui in due significa metterci a rischio entrambi.
Andiamo avanti con questa tarantella per circa 4-5 minuti, alla fine la spunto e lui va via. Del rumore del motore resta solo un ricordo e il fischio di un vento molto più forte e inospitale.
Ore 20:00
Piove e nemmeno poco. Il cavo, completamente sganciato, è stato riattaccato con molta fatica: il fango ha reso difficile raggiungere la cima. Sono stremato, esausto e inizio a tremare perché il freddo si fa sentire. Invio la conferma sul lavoro svolto e ricevo il via libera per andarmene ma la situazione cambia radicalmente. La camionetta della protezione civile raggiunge il parcheggio, c’è un vento veramente ostile, il tipo scende e cerca di tirarsi su il cappuccio.
— Deve andarsene immediatamente da qui! C’è una tromba d’aria in arrivo e probabilmente anche una tempesta.
Non finisce di dire la frase che un tuono fortissimo ci fa strizzare gli occhi (e cagare sotto). Non sono uno pauroso, anzi, si può dire che sono piuttosto “algido” ma riconosco la grandezza della natura quando la vedo o la sento e quella sì, quella mi spaventa.
Torna nell’abitacolo e tira fuori la sua di radio. Non sento cosa dice ma vedo che scuote la testa e nel frattempo guardo la mia moto sferzata dalla pioggia: così io ci rimetto la vita. In sostanza mi dice che è caduto un albero e che non c’è possibilità di discesa, che siamo bloccati ad eccezione di una variante di tre chilometri completamente sterrata ma soprattutto molto in pendenza.
Sterrato con pioggia, significa fango. Molto in pendenza significa che non ti fermi e tre chilometri possono essere una vera eternità…ma non ho scelta.
Mezz’ora dopo sono al centro di una gola, con il fango alle caviglie, la moto che urla come una pazza mentre lancia palle di terra, foglie e altro sul parabrezza della jeep della protezione civile. Procedo lento ma procedo e no, la moto non la lascio per tutta una serie di ragioni che non condividerete (poco male).
Ore 21:15
Come una cariatide arrivo alla fine del tragitto, in una condizione igienica pietosa. Ho acqua in ogni piega della giacca, il motore fuma e urla, il fango è dentro le scarpe, i guanti sono uno straccio da strizzare. Saluto con la mano quello della protezione civile e proseguo tra stradine isolate e paesi sbarrati fino ad arrivare al cancello di casa. Non ho le chiavi ma posso entrare con un piccolo stratagemma, peccato che questa idea venga interrotta da un fulmine che, per fortuna, cade vicino ma non troppo. Per l’esattezza dietro la casa e ciò che ricordo è un enorme bagliore ma soprattutto un botto incredibile. Parte la corrente e scattano gli allarmi, a quel punto penso che potrei tornare a Roma. Devo tornare a Roma. Forse posso farcela…no è una follia.
Ore 22:30
Sono nel cortile, la moto è sotto una tettoia, inizio a tremare, sono stanco, ho fame e non mi sento bene per niente. Si accende una luce davanti a me e vedo una sagoma che riconosco: è un amico di famiglia. Sta grandinando, vi dico solo questo. Entra sotto la tettoia e mi chiede che cosa fosse successo: una domanda complicata a cui rispondere sinteticamente.
Lui ha un copia delle chiavi di casa e ha pensato bene di portarle, perché lui è una persona intelligente e io molto meno. Gli racconto tutto mentre lancio i vestiti a terra e mi spoglio quasi nudo mentre lui attiva caldaia e pompe di calore. Mi chiede se ho fame e gli rispondo che potrei divorarmi lui.
Ore 23:30
Esco dal bagno caldo con la testa che gira e dolori sparsi in tutto il corpo. Ho una ferita al fianco fatta chissà come, niente di serio ma come diavolo avrò fatto a procurarmela. Sono convinto di avere la febbre ma il vecchio termometro al mercurio, per fortuna, mi smentisce. Esco dal bagno e trovo un piccolo contenitore di alluminio: melanzane alla parmigiana. Mangio sul letto, vestito con abiti di ricambio tra cui un paio di pantaloni tecnici della Quechua.
Ore 00:31
Spengo la luce senza nemmeno aver digerito, all’ennesimo tuono che scuote i vetri di casa. A questo punto, con la pancia piena, posso pure morire: chi ce la fa a mettersi contro quella tempesta. Il buio cala, i pensieri rallentano, inizio a sognare.
Ore 09:40
Dio santo, se mi avessero preso a calci per ore sarei stato meglio: le braccia sono indolenzite per non parlare delle spalle, la testa è stata usata da un boxer professionista come sacco di allenamento e ho una epicondilite incipiente. Sul tavolo trovo un Buondì Motta e un caffè da asporto ormai freddo. Un biglietto con scritto “parti finchè è bel tempo…”.
Quanta saggezza in così poche parole: salto in moto senza nemmeno lavarmi ma solo dopo aver mangiato.
Ore 11:15
Entro a casa, è tutto in ordine e pulito. Tutto perfetto, tutto lindo, mentre io sono la stessa cariatide di qualche ora prima e l’unica cosa a cui riesco a pensare è “è stata solo una chiamata…solo una chiamata“